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“Birra Fredda”
Nella sua
terra natia era ormai diventato una celebrità nel campo artistico. Non passava
giorno che qualche giornalista cercasse di capire dove si fosse ritirato per
creare la sua prossima opera. Il critico
artistico del “Berlin Zeitung” aveva commentato così la sua prima esposizione:
“Michael Haneke tradisce il suo passato da fantaccino durante la Grande Guerra.
La sua scultura risulta, grazie allo stile molto particolareggiato e alla
massiccia presenza di tematiche grottesche, disturbante ma al contempo
attrattiva. Corpi nudi, lame e bende riportano l’osservatore direttamente sui
campi di battaglia, anche grazie ad un sapiente utilizzo dei giochi di ombre.
L’arte di Haneke risulta quindi non digeribilissima da tutti, ma la sua particolare
carica simbolica ed emotiva rendono le sculture veri e propri personaggi degni di
un posto nei nostri cuori.” L’articolo di giornale era rimasto appeso nel suo
laboratorio di New York per due anni. Ora il piccolo trafiletto aveva percorso
un lungo viaggio e si trovava da qualche parte nei dintorni della cittadina di
Bright Falls.
Il lago gli
dava un buon presentimento. Michael era seduto su di una piccola sdraio ed
ammirava il paesaggio. Il cielo era terso, senza il minimo accenno di nuvole.
Ogni tanto qualche uccello ritagliava una propria scia scura in quell’azzurro
intenso. Tutto era illuminato alla perfezione. Se fosse stato un pittore
avrebbe sicuramente immortalato la scena in qualche tela da esporre in una
galleria americana piena di ricconi con la puzza sotto il naso. Ma ciò che gli
riusciva bene era la scultura. I bozzetti del suo lavoro, ancora allo stadio
larvale, giacevano sul suo grembo come foglie autunnali abbandonate a terra. Le
acque del lago si muovevano pigramente. Verdognole, facevano da anticamera
all’abisso sottostante. Era come cercare di guardare dentro un pozzo. Potevi
riuscire a vedere i primi metri ma, prima o poi, anche il più piccolo barlume
di luce finiva e tutto sfumava semplicemente nel buio. Le increspature sulla superficie
si muovevano sinuose. Erano quasi ipnotiche. Il calore del sole. Il cielo
limpido. Il lento sciabordio dell’acqua. Tutto stava lentamente trascinando
Michael tra le braccia di Morfeo. Le sue palpebre iniziarono a diventare
pesanti e sentì un improvviso senso di stanchezza che lo pervadeva. Gli occhi
si chiusero quasi con cautela. Il capo si abbandonò sullo schienale della
sdraio. Il carboncino cadde nella sabbia scura. I bozzetti rimasero
improvvisamente soli, ad osservare il cielo terso. Sotto di loro c’era solo un
palombaro impantanato nel mare dei sogni.
Era buio. Faceva freddo. Aveva appena
smesso di piovere e tutto era fradicio. L’odore era insopportabile. Il puzzo
nauseabondo era accompagnato dai gemiti. Karl. Un colpo di artiglieria gli
aveva sbriciolato un braccio dal gomito in giù. Un medico era riuscito a
fermare l’emorragia ed a bendare il moncherino, ma poi una scheggia vagante di
metallo aveva operato il chirurgo. Bel gioco di parole. La “ferita” si era
presto infettata ed ora era carica di un liquido giallastro. E puzzava. Puzzava
terribilmente. Sembrava che, dopo aver assistito agli effetti della “Mostarda” per
tutto questo tempo, il corpo di Karl volesse imitarne le proprietà venefiche.
Lamenti. Lamenti. Lamenti e quell’odore marcio che aleggiava tra le tavole, che
impregnava i vestiti e che accarezzava il fango sul fondo della trincea. Tutti quelli
che si trovavano nelle vicinanze dell’uomo si erano presto allontanati,
turandosi il naso e gorgogliando in precipitosi conati di vomito. Tutti avevano
lasciato quel loro commilitone a morire. Tutti. Tranne Michael. Quest’ultimo
non riusciva moralmente ad allontanarsi. Quell’uomo stava soffrendo le pene
dell’inferno. Agonizzava. In un certo senso, stava rivivendo la propria
nascita. Invece di sbucare nella luce e finire tra le mani dell’ostetrica
sarebbe annegato nell’oblio, molto lentamente. Lentamente e dolorosamente. Michael
non poteva abbandonare un altro essere umano come fosse stata una bestia
ferita. Avrebbe fatto di tutto pur di alleviare la sofferenza di Karl. L’uomo
era stato semicosciente per tutto il tempo, lamentandosi e portando ogni tanto
la mano al braccio solo per afferrare l’aria. Il futuro scultore gli sedeva
accanto. Tentennava nel voler allungare un braccio e stringere il moribondo a
se, forse sperando di dargli così un po’ di conforto. Improvvisamente Karl
afferrò la spalla di Michael e, stringendola forse con le poche forze che gli
restavano, sussurrò una cosa che gli fece gelare il sangue nelle vene. “Bitte,
ist inhuman. Bitte, töte mich.”
Uccidimi. Per favore, questo è
disumano. Per favore, uccidimi. Uccidimi. Quella parola rimbombava come una
porta sbattuta nella mente di Michael. Uccidimi. Non aveva una pistola. Aveva
solo un fucile molto malandato. Le munizioni erano molto scarse e un colpo in
meno poteva fare la differenza tra il tornare a casa e cadere nel fango. C’era sempre
la baionetta. Molto affilata. La sua lucentezza quasi discordava con il grigio
ed uggioso ambiente della trincea a riposo. Avrebbe davvero avuto il coraggio
di sgozzare Karl come un animale al macello? Avrebbe sacrificato la propria
sanità mentale e quindi le proprie possibilità di ritornare a casa, solo per
risparmiare ad un suo simile inutili sofferenze? Queste domande e molte altre
simili ronzavano nella mente dell’uomo come zanzare in cerca di sangue fresco.
Quanto ci avrebbe messo a morire Karl a causa dell’infezione? Non era un medico
ma stimò un tempo limite di un’ora. Un’ora di dolore risparmiata ad un’anima in
pena. Michael recuperò il fucile e staccò dal supporto in punta la lama. Gli
tremavano le mani. Sentiva il rombo del sangue nelle orecchie.
Karl impiegò un altro giorno a
morire. I lamenti divennero presto urla strazianti. Morì solo. Il soldato
semplice Michael Haneke giaceva accoccolato accanto ad un suo giovano
commilitone. Le lacrime scorrevano come un fiume in piena. Sapeva che presto,
molto presto, sarebbe rimasto a secco.
Michael
Haneke si risvegliò urlando. Nel sonno era caduto dal lettino ed ora aveva la
faccia premuta nella sabbia. Per un momento gli parve di trovarsi di nuovo in
quel dannato buco d’inferno. Cercò
l’elmetto rovistando nella sabbia scura tipica dei laghi vulcanici. Non lo
trovava, non riusciva a trovarlo. NON TROVAVA QUEL CAZZO DI ELMETTO! QUALCHE
CECCHINO GLI AVREBBE SPARATO ALLA TESTA, LUI SI SAREBBE RITROVATO SENZA ELMETTO
E CON UN TERZO OCCHIO IN FRONTE! SAREBBE MORTO, SAREBBE FINITO ALL’INFERNO E
AVREBBE INCONTRATO KARL. SORRIDENTE E SENZA UN BRACCIO. DOLORE, TANTO DOLORE.
TANTA PUZZA. PUZZA DI ZOLFO. FIAMME E IL SORRISO DI KARL. I DENTI MARCI E I
LINEAMENTI CONTRATTI DEL RIGOR MORTIS. Per sempre. PER SEMPRE. PER SEMP…
Basil, di
ritorno da Bright Falls dopo una mattinata di commissioni, bussò alla porta di
casa. Non gli aprì nessuno. Sia l’entrata principale che quella del capannone
erano chiuse a chiave. Aprì utilizzando il suo mazzo personale. Sul pannello di
sughero appeso all’ingresso, accanto ad un vecchio ritaglio del “Berlin
Zeitung”, si trovava un biglietto. La calligrafia era quella disordinata del
suo mentore. Diceva: “Caro Basil, nel capannone non riesco a mettere due idee
in fila una con l’altra. Ho ripescato un lettino dalla soffitta e ho deciso di
andare al lago seguendo quel percorso nei boschi. Come ti ho già detto, ho un
buon presentimento per quanto riguarda quel lago. Credo possa aiutarmi con i bozzetti. Se non sono a casa sentiti pure libero di raggiungermi.
Non sarebbe male se ti restassero attaccate alle mani un paio di Bier.” L’uomo
raccolse in un sacchetto di carta quattro birre e ritornò sui suoi passi. Una
volta fuori imboccò il sentiero e si avventurò tra la fitta boscaglia. Quella
mattina aveva ronzato da un parte all’altra come un’ape operaia e ora voleva
solo rilassarsi in compagnia del suo più grande amico. Dopo una ventina di
minuti raggiunse la riva sabbiosa. Ad attenderlo c’era la cosa più strana che
avesse mai visto.
Il lettino era piantato nella sabbia scura, un po’ come una lapide. Poco distante c’era lo scultore. Basil, appena si accorse di ciò che era successo, lasciò cadere il sacchetto con le birre ed iniziò a correre verso l’uomo. Era rannicchiato in posizione fetale. Si stringeva le ginocchia al petto ed aveva gli occhi chiusi. I fogli del blocco dei bozzetti erano stati strappati dal supporto di cuoio e sparsi tutto intorno, come un tappeto di petali giallastri. L’assistente non poteva fare a meno di pensare che gli fosse venuto una qualche sorta di attacco e che fosse morto, magari per un infarto. Quando raggiunse Michael, si rese conto che era solo svenuto. Non aveva con se i sali e quindi dovette rifilargli un paio di sberle in piena faccia. Grazie a Dio funzionò.
Il lettino era piantato nella sabbia scura, un po’ come una lapide. Poco distante c’era lo scultore. Basil, appena si accorse di ciò che era successo, lasciò cadere il sacchetto con le birre ed iniziò a correre verso l’uomo. Era rannicchiato in posizione fetale. Si stringeva le ginocchia al petto ed aveva gli occhi chiusi. I fogli del blocco dei bozzetti erano stati strappati dal supporto di cuoio e sparsi tutto intorno, come un tappeto di petali giallastri. L’assistente non poteva fare a meno di pensare che gli fosse venuto una qualche sorta di attacco e che fosse morto, magari per un infarto. Quando raggiunse Michael, si rese conto che era solo svenuto. Non aveva con se i sali e quindi dovette rifilargli un paio di sberle in piena faccia. Grazie a Dio funzionò.
Michel
dormiva nel suo letto. Basil era riuscito a farlo riprendere. Assieme avevano
recuperato gli scampoli di carta sparsi tra la sabbia ed erano ritornati a
casa. Lo scultore non parlò per tutto il tragitto. Aveva una faccia molto abbattuta.
La faccia di qualcuno che era stato all’inferno e che ne era tornato lasciando
tra le fiamme una parte di se.
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