lunedì 4 giugno 2012

WANI - Corsa nel Buio


Non ce la faceva più. La sua milza gemeva ad ogni centimetro di terreno guadagnato e il rombo del sangue nelle sue orecchie sovrastava ormai qualsiasi altro suono.Si fermò e l’istinto gli ordinò di piegarsi in avanti per resistere al dolore che pulsava nelle profondità del proprio corpo. Sapeva di non avere il tempo per perdersi in smancerie come quella e, invece, slacciò le cinghie di cuoio che gli cingevano il capo. La maschera antigas tornò a pendergli dalla cintura. In quelle circostanze l’oggetto era inutile quanto un ombrello contro una frana. La zona inondata di gas era molto lontana dalla sua posizione. L'aria fresca della sera lo prese di soppiatto, facendolo boccheggiare. Era come trovarsi di fronte ad un buffet ed essere terribilmente affamati. Inspirò più che potè e poi riprese la sua corsa.

Doveva sbrigarsi e non aveva assolutamente tempo da perdere. Alla fortezza servivano al più presto rinforzi. In tutta la sua vita lo Sciacallo non aveva mai visto un Mucchio così grosso. Sì, sapeva che di tanto in tanto si radunavano chissà perché in gruppi, ma mai in così tanti. Ogni passo che l’uomo faceva era una pugnalata nel fianco e il fucile iniziava a pesargli sempre di più. Aveva tempo fino al tramonto per raggiungere l’avamposto delle Aquile più vicino, poi la situazione sarebbe diventate calda. Molto calda. Incandescente.

Quelli lenti se ne andavano a zonzo per tutto il tempo, ma quelli veloci sbucavano solo la notte. Doveva sbrigarsi. La fatica, il dolore al fianco e la disperazione sembravano mutare il normale scorrere del tempo. Tutto era velocizzato e rallentato allo stesso momento, in un paradosso costante. Mentre correva, l’uomo ripassava mentalmente il percorso. Doveva svoltare sulla destra alla prossima traversa e poi proseguire dritto. Il campo sarebbe stato proprio in fondo alla via. Per fortuna il percorso era sgombro e quindi poteva percorrere la strada con più lena. I veicoli erano stati smontati da tempo e ormai a terra rimanevano solo i cocci. Iniziò a meravigliarsi di non aver incontrato ancora nessuno. Il sole procedeva lentamente nella sua parabola verso l’orizzonte, come la lancetta di un vecchio cronometro. La traversa era ormai ad un paio di metri, quando uno di quelli veloci sbucò da dietro l’angolo.

Tutto si mosse come al rallentatore. L’uomo e la ragazza infetta erano come due proiettili pronti a cozzare l’uno contro l’altro. Il fucile da caccia carico sobbalzava nell’aria fresca. Gli occhi graffiati e slavati della ragazza si facevano sempre più vicini. La fame li animava. Fame di carne umana. Il tempo proseguiva lento nel suo dilatarsi innaturale dettato dall’adrenalina. Il fucile si mosse, come scivolando nell’aria immobile, dalle spalle alle mani sicure dell’uomo. Gli occhi dilatati erano ormai vicinissimi. Il tempo riprese il suo fluire naturale. In corsa, lo Sciacallo sparò senza quasi prendere la mira. La testa della ragazza esplose colorando di rosso l’ambiente circostante, che stava lentamente affogando nel buio. Il suo corpo proseguì per inerzia nel suo slancio e si schiantò contro un lampione. L’uomo svoltò l’angolo e vide le luci del piccolo fortino appartenente alle Aquile. Doveva solo percorrere duecento metri e sarebbe stato salvo. Dal successo della missione affidatagli dipendevano le vite di molti suoi commilitoni. Ormai solo la forza della disperazione lo mandava avanti. Si avvicinava sempre di più alla meta, ma sentiva movimenti molto poco rassicuranti nel buio che si andava addensando. Non si voltò. Continuò solo a correre. Potevano essercene migliaia come poteva essere solo la sua immaginazione provata dalla fatica. Le luci della stazione di posta si avvicinavano sempre di più, come fari a guidare il suo cammino in un mare nero d’inchiostro. Non si accorse del bambino fino all’ultimo momento.

Ad un certo punto sentì soltanto qualcosa colpirlo ad un fianco e si ritrovò nella polvere. Il suo tragitto era stato interrotto. Si rialzò confuso e vide un bambino seminudo interamente coperto di fuliggine. Aveva gli occhi dilatati e i denti scoperti, come un cane rabbioso. Passi e gemiti. Erano centinaia. Tutto intorno all'uomo. Le luci dell’avamposto erano troppo lontane. Il tempo si fermò ancora una volta. La sua mente iniziò a vagare incontrollata. Era la fine. Non aveva mai pensato alla propria morte, ma l’uomo sapeva dentro di se che un giorno sarebbe successo qualcosa di simile. L’adrenalina ormai aveva stravolto i suoi sensi. Vide il volto di ognuno dei suoi assassini. Donne, ragazzi, anziani, bambini, uomini. Tutti un giorno erano stati maledetti dall’infezione e trascinati nel buio dai propri simili. Quelli lenti ormai sembravano mummie, segnati dalle intemperie e dal tempo. I loro volti erano contratti dalla decomposizione. Ma quelli veloci erano ancora, almeno nell’aspetto, esseri umani. Sporchi , ricoperti di polvere e dai vestiti ridotti a brandelli. Ma comunque esseri umani. Era circondato da una muraglia impenetrabile di persone decedute ormai due secoli prima. Le luci della stazione di posta sembravano lontane chilometri. L’uomo aveva la pelle d’oca e i capelli ritti in testa dalla paura. Rilassò i muscoli e chiuse gli occhi. Da un momento all’altro sarebbero balzati sul suo corpo per cercare di saziare la loro fame insaziabile. Tutto divenne nero. Il mondo si ridusse a buio e al ringhiare sommesso degli infetti. Le creature si avventarono sullo Sciacallo messaggero e ci fu un attimo di vuoto, come  se le certezze dell’universo stesso fossero state messe in discussione. L’uomo si sentiva perso e abbandonato nel buio più totale.

All’improvviso luce. Luce abbagliante, folgorante. Luce bianca e pura. Luce divina. Il condannato a morte spalancò gli occhi. Dalla piccola fortezza delle Aquile baluginava nel buio un fascio di luce intensa che disperdeva gli infetti, facendoli tornare nelle proprie tane all’interno dei palazzi in rovina. L‘uomo riprese a correre. Non c’era più stanchezza. Non c’era più dolore. Raggiunse le mura e venne fatto entrare dal cancello principale. Una delle guardie armate di ronda spense il faro da stadio. Lo sventurato cercava di parlare, ma la sua bocca era arida. Il comandante dell’avamposto gli porse un bicchiere d’acqua filtrata. Lo sciacallo bevve in maniera convulsa. L’acqua era dolcissima, come fosse miele. Si calmò un pochino e riferì il proprio messaggio. Ciò per cui aveva rischiato la vita.


“La Fortezza è sotto assedio. Si richiedono quanti più rinforzi possibile. Sono centinaia. CENTINAIA. Castel sant’Angelo è sotto assedio “ 

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