lunedì 4 giugno 2012

WANI - Gufi e Corvi


La porta era stata bloccata con una robusta sbarra di metallo. Il fuoco era acceso e scoppiettava, spandendo il suo calore nella fredda notte invernale. Una faro di sicurezza nel buio. Era stata una lunga giornata. L’Accompagnatore si era beccato un proiettile in una spalla e il Mappatore era stato preso di striscio ad un fianco. Di solito quando piazzavano il campo per la notte trascorrevano il tempo chiacchierando e raccontando storie sul Passato, ma quella sera l’atmosfera era ben diversa. Lassù, sulla terrazza di un palazzo ormai morto appartenuto un tempo a persone ormai morte, si trovavano i Gufi. O almeno una loro squadra esplorativa.

L’Accompagnatore era poggiato al muro e gemeva mentre si medicava la spalla ferita. Il proiettile, per fortuna, era entrato ed uscito senza fare grossi danni. Aveva semplicemente tirato fuori gli attrezzi del mestiere, aveva fermato l’emorragia e aveva coperto il tutto con un’abbondante fasciatura. Senza dire una parola. Dentro di se sapeva di non dover dire niente, altrimenti avrebbe urtato i suoi compagni di squadra. Non poteva far pesare loro i suoi problemi. Il suo scopo era chiaro, così come la sua pala. Accompagnare i defunti e i finti defunti fino alla tomba. All’eterno riposo. Credeva davvero in ciò che rappresentava, così come i suoi amici commilitoni, e non avrebbe esitato ad accompagnare se stesso tra i defunti se fosse diventato un peso per gli altri. Al minimo sentore di infezione alla ferita avrebbe acceso la candela e avrebbe fatto annotare le sue ultime parole sul Codex della squadra. Poi l’unica cosa importante sarebbero stati il suono della pistola del Cacciatore e il rumore della sua stessa pala che l’accompagnavano tra i loro predecessori nel regno dei morti. Di quelli che non camminano. Il braccio pulsava di dolore, ma per il momento sembrava andare tutto bene. La pala. Il suo strumento di lavoro. Ora che ci ripensava, poteva fungere anche da stampella. Un’increspatura di sorriso fece la sua comparsa fugace sul volto dell’Accompagnatore.

Il Cacciatore era di vedetta, come al solito. Il primo turno di guardia toccava sempre a lui, dato che era quello con più esperienza di tutti. La notte era gelida, ma l’uomo non osava avvicinarsi al fuoco. Là cerano lo Scrivano e il Mappatore, impegnati nei loro compiti serali. Dopo quello che era successo voleva evitare di rivolgere la parola a quest’ultimo, concentrandosi invece nell’osservare i Sonnambuli nel loro penare notturno. Camminavano lentamente, sbattendo l’uno con l’altro e andando a finire ogni tanto contro qualche muro. Se di giorno erano quasi impediti nei movimenti, di notte era anche peggio. Erano ciechi, a differenza degli Inseguitori. Quelli, invece, sbucavano solo di notte e riuscivano ad orientarsi benissimo anche nelle isole di oscurità su cui non pioveva la luce lunare. Prima di essere consacrato nell’Ordine, l’uomo era stato uno Sciacallo. A quell’epoca ne aveva uccisi a dozzine di quelli lenti, era quasi diventata routine. Vai là, ripulisci quel posto, fai fuori ogni testa marcia che incontri. BAM BAM BAM. Nella sua carriera di mercenario prezzolato aveva intrapreso solo due missioni notturne. Entrambe si erano rivelate un massacro. Nessuno può immaginare la sensazione di sentirsi in trappola, con una marea di mostri centometristi che cerca a tutti i costi di assaggiarti. La prima era in una stazione della metropolitana. Doveva fare da guardia ad uno scambio commerciale tra il Party e un grasso mercante con un ridicolo paio di occhiali scuri. Appena calò la notte, iniziarono ad arrivare le urla. Quel povero stronzo non aveva messo in conto i cacciatori notturni. La stazione era stata trasformata in un cul-de-sac e quelli all’interno non ne volevano sapere di dare un mano. Continuavano ad urlare nella loro lingua straniera. Per uscirne l’uomo dovette infognarsi in uno stanzino di servizio e barricarsi dentro, aspettando fino all’alba. Di tutta la scorta solo il Cacciatore era stato abbastanza furbo da defilarsi subito invece di mettersi a sparare come un idiota. Potevi sparare quanto ti pareva, ma quelli non finivano mai di arrivare. Ondate su ondate su ondate. Alla fine o finivi le munizioni o ti si inceppava l’arma dal troppo sparare e di te restavano solo le impronte della polvere. La seconda missione andò anche peggio. Stesso obiettivo, stessa dinamica ma con personaggi diversi e luoghi diversi. Per portare a casa la pelle dovette chiudersi in un ascensore. La cosa peggiore era il mattino dopo. Di tutti quelli presenti non c’era più nessuno. Solo bossoli a terra e una marea di sangue.

Il Mappatore stava studiando le cartine della zona. Erano molto vicini all’obiettivo. Si trattava di una enorme zona cinta da un alto muro perimetrale. Strano, molto strano per essere all’interno di una città. Le entrate erano tre, ma a loro interessava quella principale. Il fianco pulsava ancora di dolore, ma gli antidolorifici rifiutati dall’Accompagnatore stavano facendo effetto. Non poteva ancora capacitarsi di come potesse essere stato colpito. Il proiettile aveva una traiettoria impossibile. Veniva da dietro. Uno di quegli idioti gli era venuto addosso con in mano una roncola e stava cercando farlo a pezzetti. Pessima mossa, dato che presto avrebbe perso un polmone a causa del revolver dell’Accompagnatore. Aveva sentito lo sparo e poi un immenso dolore al fianco. Mentre si accasciava, trovò comunque il tempo di sparare al predone. Sapeva benissimo che il colpo era venuto da uno dei suoi commilitoni. Non sapeva di chi fosse la colpa, ma anche se lo avesse saputo, non lo avrebbe odiato. Erano soli, nel pieno del territorio inesplorato e in prossimità di uno Stormo di dimensioni considerevoli. Non poteva permettersi il lusso del rancore. Le carte piene di appunti erano srotolate dinnanzi al suo sguardo calcolatore. C’era un punto in particolare cerchiato con una matita rossa, la loro meta, e un appunto su come riconoscerla scritto con la calligrafia precisa del Mappatore. “Quattro statue, tre cancelli. La terra dei morti. Un santuario per i Defunti, forse il più importante dopo la Cappella”.

Lo Scrivano era seduto a gambe conserte. La matita ormai ridotta ad un moncone si consumava lentamente sul Codex. Quel pomeriggio, circa a tre quarti del percorso necessario per raggiungere la propria meta, la squadra si era scontrata contro un minuscolo gruppo di predoni. Cinque uomini andati ad ingrossare le fila dei Defunti, una decina di Sonnambuli a cui era stata restituita la pace e due compagni feriti. Per una missione di quella portata si trattava di dati eccezionali. L’ultima volta che gli Anziani avevano inviato una spedizione esplorativa era perché sospettavano la presenza di un Santuario dei Defunti. Avevano ragione, sebbene la squadra non fosse mai più ritornata. Il loro Codex venne ritrovato sulla bancarella di un mercante di libri nella Città. Per metà era ricoperto di sangue ormai secco. Poteva essere accaduto di tutto. Potevano essere incappati in un branco di creature. Potevano essere stati attaccati dai predoni. Potevano aver pensato di prendere una scorciatoia passando nella Zona degli Spiriti. Se si trattava di questo, solo i Defunti potevano sapere le tribolazioni che quegli uomini avevano dovuto sopportare. Senza le dovute precauzioni era praticamente un suicidio avventurarsi in quella parte della città. Tra le allucinazioni, gli infetti ed i membri di una strana tribù poteva succedere di tutto. Al loro gruppo non poteva minimamente succedere nulla del genere. Erano troppo uniti tra loro dal sangue versato e dal proprio credo per permettere anche solo di pensare qualche idiozia come avventurarsi nella Zona degli Spiriti. Una folata di vento gelido distolse l’uomo dai suoi pensieri. In quel momento riflessivo la sensazione che ne risultò  fu come venire trapassati da una stalattite di ghiaccio. Spartaco, il suo corvo messaggero, mandò un lieve gracchio e arruffò le penne in segno di protesta. Era un animale intelligente che sapeva cogliere il mutare degli eventi. Lo Scrivano aveva studiato a lungo il passato prima di specializzarsi in interventi sul campo. Prima del Kaos il clima si era mantenuto più o meno temperato, ma quasi due secoli dopo stava accadendo qualcosa di strano. Gli inverni si erano rivelati sempre più freddi, con addirittura abbondanti nevicati negli ultimi due anni. Forse si trattava di un caso, forse c’entrava qualcosa l’improvviso calo del numero di esseri umani e dei loro traffici quotidiani. Non lo sapeva e, francamente, non voleva aggiungere una preoccupazione al mazzo. Sapeva solo di odiare il freddo.
Era mattina. Il cielo era limpido e in giro non si vedevano Sonnambuli. I Gufi erano in piedi di fronte a quello che sembrava essere la loro meta finale.
“ Mappatore, credo che siamo arrivati. Ci sono le statue e ci sono i cancelli. A meno che non siamo finiti in Cina, credo che stiamo nel posto giusto.”
“ Aspetta Cacciatore, ora controllo sulla mappa. Accompagnatore, come ti senti?”
“ Bene, bene. Stai tranquillo e cerca di non preoccuparti. Intendo morire solo tra le cosce di una bella gnocca.”
L’uomo mandò una risatina sollevando la pala sopra la testa, prima di riportarla sotto il braccio con un gemito di dolore.
“ Ovviamente. Devo preparare Spartaco? Il tempo di farlo arrivare e i rinforzi saranno già qui. Credo che se è davvero ciò che ho letto sul Grande Codex, abbiamo fatto tombola. “
Il Mappatore stava ancora cercando la cartina giusta. Un tempo si era trattata probabilmente di una mappa della città a scopi turistici, ma quando l’uomo si rese conto della riuscita della loro missione gli apparve come una mappa del tesoro. Di quelle nei vecchi libri di avventura.
“Eh si Scrivano. Ci siamo. Manda il messaggero. Ci siamo riusciti anche questa volta !“

Le statue c’erano davvero tutte e quattro. Ad una mancava la testa e quella più a destra era solcata da una serie di fori di proiettile, ma comunque erano là. Come custodi in attesa. I tre cancelli erano arrugginiti e massicci, proprio come tutti e quattro si erano aspettati di trovarli. Il più grande santuario del passato, in cui riposavano i Defunti di innumerevoli anni or sono, si stagliava all’orizzonte. Un cartello semisepolto recitava “Verano”.


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