La porta era
stata bloccata con una robusta sbarra di metallo. Il fuoco era acceso e
scoppiettava, spandendo il suo calore nella fredda notte invernale. Una faro di
sicurezza nel buio. Era stata una lunga giornata. L’Accompagnatore si era
beccato un proiettile in una spalla e il Mappatore era stato preso di striscio
ad un fianco. Di solito quando piazzavano il campo per la notte trascorrevano
il tempo chiacchierando e raccontando storie sul Passato, ma quella sera
l’atmosfera era ben diversa. Lassù, sulla terrazza di un palazzo ormai morto
appartenuto un tempo a persone ormai morte, si trovavano i Gufi. O almeno una
loro squadra esplorativa.
L’Accompagnatore
era poggiato al muro e gemeva mentre si medicava la spalla ferita. Il
proiettile, per fortuna, era entrato ed uscito senza fare grossi danni. Aveva
semplicemente tirato fuori gli attrezzi del mestiere, aveva fermato l’emorragia
e aveva coperto il tutto con un’abbondante fasciatura. Senza dire una parola. Dentro
di se sapeva di non dover dire niente, altrimenti avrebbe urtato i suoi
compagni di squadra. Non poteva far pesare loro i suoi problemi. Il suo scopo
era chiaro, così come la sua pala. Accompagnare i defunti e i finti defunti
fino alla tomba. All’eterno riposo. Credeva davvero in ciò che rappresentava,
così come i suoi amici commilitoni, e non avrebbe esitato ad accompagnare se
stesso tra i defunti se fosse diventato un peso per gli altri. Al minimo
sentore di infezione alla ferita avrebbe acceso la candela e avrebbe fatto
annotare le sue ultime parole sul Codex della squadra. Poi l’unica cosa
importante sarebbero stati il suono della pistola del Cacciatore e il rumore
della sua stessa pala che l’accompagnavano tra i loro predecessori nel regno
dei morti. Di quelli che non camminano. Il braccio pulsava di dolore, ma per il
momento sembrava andare tutto bene. La pala. Il suo strumento di lavoro. Ora
che ci ripensava, poteva fungere anche da stampella. Un’increspatura di sorriso
fece la sua comparsa fugace sul volto dell’Accompagnatore.
Il Cacciatore
era di vedetta, come al solito. Il primo turno di guardia toccava sempre a lui,
dato che era quello con più esperienza di tutti. La notte era gelida, ma l’uomo
non osava avvicinarsi al fuoco. Là cerano lo Scrivano e il Mappatore, impegnati
nei loro compiti serali. Dopo quello che era successo voleva evitare di rivolgere
la parola a quest’ultimo, concentrandosi invece nell’osservare i Sonnambuli nel
loro penare notturno. Camminavano lentamente, sbattendo l’uno con l’altro e
andando a finire ogni tanto contro qualche muro. Se di giorno erano quasi
impediti nei movimenti, di notte era anche peggio. Erano ciechi, a differenza
degli Inseguitori. Quelli, invece, sbucavano solo di notte e riuscivano ad
orientarsi benissimo anche nelle isole di oscurità su cui non pioveva la luce
lunare. Prima di essere consacrato nell’Ordine, l’uomo era stato uno Sciacallo.
A quell’epoca ne aveva uccisi a dozzine di quelli lenti, era quasi diventata
routine. Vai là, ripulisci quel posto, fai fuori ogni testa marcia che
incontri. BAM BAM BAM. Nella sua carriera di mercenario prezzolato aveva
intrapreso solo due missioni notturne. Entrambe si erano rivelate un massacro.
Nessuno può immaginare la sensazione di sentirsi in trappola, con una marea di
mostri centometristi che cerca a tutti i costi di assaggiarti. La prima era in
una stazione della metropolitana. Doveva fare da guardia ad uno scambio
commerciale tra il Party e un grasso mercante con un ridicolo paio di occhiali
scuri. Appena calò la notte, iniziarono ad arrivare le urla. Quel povero
stronzo non aveva messo in conto i cacciatori notturni. La stazione era stata
trasformata in un cul-de-sac e quelli all’interno non ne volevano sapere di
dare un mano. Continuavano ad urlare nella loro lingua straniera. Per uscirne
l’uomo dovette infognarsi in uno stanzino di servizio e barricarsi dentro,
aspettando fino all’alba. Di tutta la scorta solo il Cacciatore era stato
abbastanza furbo da defilarsi subito invece di mettersi a sparare come un
idiota. Potevi sparare quanto ti pareva, ma quelli non finivano mai di arrivare.
Ondate su ondate su ondate. Alla fine o finivi le munizioni o ti si inceppava
l’arma dal troppo sparare e di te restavano solo le impronte della polvere. La
seconda missione andò anche peggio. Stesso obiettivo, stessa dinamica ma con
personaggi diversi e luoghi diversi. Per portare a casa la pelle dovette
chiudersi in un ascensore. La cosa peggiore era il mattino dopo. Di tutti
quelli presenti non c’era più nessuno. Solo bossoli a terra e una marea di
sangue.
Il Mappatore
stava studiando le cartine della zona. Erano molto vicini all’obiettivo. Si
trattava di una enorme zona cinta da un alto muro perimetrale. Strano, molto
strano per essere all’interno di una città. Le entrate erano tre, ma a loro
interessava quella principale. Il fianco pulsava ancora di dolore, ma gli
antidolorifici rifiutati dall’Accompagnatore stavano facendo effetto. Non
poteva ancora capacitarsi di come potesse essere stato colpito. Il proiettile
aveva una traiettoria impossibile. Veniva da dietro. Uno di quegli idioti gli
era venuto addosso con in mano una roncola e stava cercando farlo a pezzetti.
Pessima mossa, dato che presto avrebbe perso un polmone a causa del revolver
dell’Accompagnatore. Aveva sentito lo sparo e poi un immenso dolore al fianco. Mentre
si accasciava, trovò comunque il tempo di sparare al predone. Sapeva benissimo
che il colpo era venuto da uno dei suoi commilitoni. Non sapeva di chi fosse la
colpa, ma anche se lo avesse saputo, non lo avrebbe odiato. Erano soli, nel
pieno del territorio inesplorato e in prossimità di uno Stormo di dimensioni
considerevoli. Non poteva permettersi il lusso del rancore. Le carte piene di
appunti erano srotolate dinnanzi al suo sguardo calcolatore. C’era un punto in
particolare cerchiato con una matita rossa, la loro meta, e un appunto su come
riconoscerla scritto con la calligrafia precisa del Mappatore. “Quattro statue,
tre cancelli. La terra dei morti. Un santuario per i Defunti, forse il più
importante dopo la Cappella”.
Lo Scrivano
era seduto a gambe conserte. La matita ormai ridotta ad un moncone si consumava
lentamente sul Codex. Quel pomeriggio, circa a tre quarti del percorso
necessario per raggiungere la propria meta, la squadra si era scontrata contro
un minuscolo gruppo di predoni. Cinque uomini andati ad ingrossare le fila dei
Defunti, una decina di Sonnambuli a cui era stata restituita la pace e due
compagni feriti. Per una missione di quella portata si trattava di dati
eccezionali. L’ultima volta che gli Anziani avevano inviato una spedizione
esplorativa era perché sospettavano la presenza di un Santuario dei Defunti.
Avevano ragione, sebbene la squadra non fosse mai più ritornata. Il loro Codex
venne ritrovato sulla bancarella di un mercante di libri nella Città. Per metà
era ricoperto di sangue ormai secco. Poteva essere accaduto di tutto. Potevano
essere incappati in un branco di creature. Potevano essere stati attaccati dai
predoni. Potevano aver pensato di prendere una scorciatoia passando nella Zona
degli Spiriti. Se si trattava di questo, solo i Defunti potevano sapere le
tribolazioni che quegli uomini avevano dovuto sopportare. Senza le dovute
precauzioni era praticamente un suicidio avventurarsi in quella parte della
città. Tra le allucinazioni, gli infetti ed i membri di una strana tribù poteva
succedere di tutto. Al loro gruppo non poteva minimamente succedere nulla del
genere. Erano troppo uniti tra loro dal sangue versato e dal proprio credo per
permettere anche solo di pensare qualche idiozia come avventurarsi nella Zona
degli Spiriti. Una folata di vento gelido distolse l’uomo dai suoi pensieri. In
quel momento riflessivo la sensazione che ne risultò fu come venire trapassati da una stalattite
di ghiaccio. Spartaco, il suo corvo messaggero, mandò un lieve gracchio e
arruffò le penne in segno di protesta. Era un animale intelligente che sapeva
cogliere il mutare degli eventi. Lo Scrivano aveva studiato a lungo il passato
prima di specializzarsi in interventi sul campo. Prima del Kaos il clima si era
mantenuto più o meno temperato, ma quasi due secoli dopo stava accadendo
qualcosa di strano. Gli inverni si erano rivelati sempre più freddi, con
addirittura abbondanti nevicati negli ultimi due anni. Forse si trattava di un
caso, forse c’entrava qualcosa l’improvviso calo del numero di esseri umani e
dei loro traffici quotidiani. Non lo sapeva e, francamente, non voleva
aggiungere una preoccupazione al mazzo. Sapeva solo di odiare il freddo.
Era mattina.
Il cielo era limpido e in giro non si vedevano Sonnambuli. I Gufi erano in
piedi di fronte a quello che sembrava essere la loro meta finale.
“ Mappatore,
credo che siamo arrivati. Ci sono le statue e ci sono i cancelli. A meno che
non siamo finiti in Cina, credo che stiamo nel posto giusto.”
“ Aspetta
Cacciatore, ora controllo sulla mappa. Accompagnatore, come ti senti?”
“ Bene,
bene. Stai tranquillo e cerca di non preoccuparti. Intendo morire solo tra le
cosce di una bella gnocca.”
L’uomo mandò
una risatina sollevando la pala sopra la testa, prima di riportarla sotto il
braccio con un gemito di dolore.
“ Ovviamente.
Devo preparare Spartaco? Il tempo di farlo arrivare e i rinforzi saranno già
qui. Credo che se è davvero ciò che ho letto sul Grande Codex, abbiamo fatto
tombola. “
Il Mappatore
stava ancora cercando la cartina giusta. Un tempo si era trattata probabilmente
di una mappa della città a scopi turistici, ma quando l’uomo si rese conto
della riuscita della loro missione gli apparve come una mappa del tesoro. Di
quelle nei vecchi libri di avventura.
“Eh si
Scrivano. Ci siamo. Manda il messaggero. Ci siamo riusciti anche questa volta
!“
Le statue
c’erano davvero tutte e quattro. Ad una mancava la testa e quella più a destra
era solcata da una serie di fori di proiettile, ma comunque erano là. Come
custodi in attesa. I tre cancelli erano arrugginiti e massicci, proprio come
tutti e quattro si erano aspettati di trovarli. Il più grande santuario del
passato, in cui riposavano i Defunti di innumerevoli anni or sono, si stagliava
all’orizzonte. Un cartello semisepolto recitava “Verano”.
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