venerdì 1 marzo 2013

21


Il mondo aveva perso il minimo senso. I pensieri si erano affollati l’uno sull’altro in una calca scomposta durante tutta l’ora che aveva trascorso davanti allo specchio del soggiorno ed ancora non era riuscito a capire. La mano destra fremeva sulla vecchia radio a valvole che ormai era diventata un semplice ornamento, mentre la sinistra scandagliava la superficie riflettente. Cercava disperatamente qualcosa. Un segno divino, forse. Cercava il proprio riflesso.

L’uomo, uscendo dalla camera da letto a seguito di una fitta alla spalla, aveva inavvertitamente gettato uno sguardo allo specchio. Rimase atterrito nel constatare che non c’era stato alcuno sguardo di ritorno. Lo spazio dove avrebbe dovuto esserci il suo doppio ospitava invece il riflesso della parete opposta. La finestra era spalancata e la bella giornata primaverile strideva con l’assurda follia kafkiana della situazione all’interno della villetta. La sottile membrana di stupore misto a terrore che si era venuta a formare tra le sinapsi dell’uomo si ruppe definitivamente quando la radio a valvole, ormai rotta irreparabilmente da anni, prese a funzionare all’improvviso.

Lo spavento fece sobbalzare l’uomo così forte che inciampò nel tappeto che aveva sotto ai piedi e cadde rovinosamente a terra. Il cuore andava a mille e il rombo del sangue nelle orecchie era così forte da oscurare quasi ogni altro suono. In tutto quel caos improvviso la radio aveva preso a cantilenare il numero ventuno, come potrebbe fare un bambino annoiato con una parola nuova. Le ginocchia dell’uomo iniziarono a tremare vistosamente mentre, come paralizzato al suolo, la voce misteriosa nella radio a valvole iniziava pian piano a morire e ad annegare tra lo statico.

Non si rendeva più conto di nulla, se non del terrore e del fatto che rischiava da un momento all’altro di pisciarsi addosso. Era nel panico più totale, dimentico di tutto e tutti. Sentiva le unghie della follia graffiare sulla lavagna logora che era la sua mente.

Senza pensare, scattò in piedi e in un moto convulso si diresse verso la camera da letto da cui solo un’ora prima era uscito. Aveva solo voluto raggiungere il bagno per prendere qualcosa contro il dolore alla spalla, aveva solo voluto continuare la propria vita come aveva sempre fatto. E invece Alice era inciampata nella tana del Bianconiglio e rischiava di annegare nella pazzia della situazione in cui si trovava. Doveva trovare qualcosa per uscirne, una fune a cui aggrapparsi. Riusciva quasi a visualizzare mentalmente il cellulare sotto carica sul comodino.

Il tragitto, alla luce dei sensi in totale avaria dell’uomo, sembrò durare anni. Era come un burattino di legno che la paura e il panico si litigavano, muovendone i fili mentre lottavano insensatamente tra loro. A quel cocktail emotivo si aggiunse la sorpresa quando, giunto a destinazione, inciampò su qualcosa e cadde di nuovo a terra. Vide quasi letteralmente le stelle ed ebbe la sensazione di avere qualcosa di rotto in bocca.

Si rialzò di corsa, per non turbare ulteriormente il luogo in cui giaceva morto da ormai ventuno ore.

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