Il mondo aveva perso il minimo senso. I pensieri si erano
affollati l’uno sull’altro in una calca scomposta durante tutta l’ora che aveva
trascorso davanti allo specchio del soggiorno ed ancora non era riuscito a capire. La mano destra fremeva sulla
vecchia radio a valvole che ormai era diventata un semplice ornamento, mentre
la sinistra scandagliava la superficie riflettente. Cercava disperatamente qualcosa.
Un segno divino, forse. Cercava il proprio riflesso.
L’uomo, uscendo dalla camera da letto a seguito di una fitta
alla spalla, aveva inavvertitamente gettato uno sguardo allo specchio. Rimase
atterrito nel constatare che non c’era stato alcuno sguardo di ritorno. Lo
spazio dove avrebbe dovuto esserci il suo doppio ospitava invece il riflesso
della parete opposta. La finestra era spalancata e la bella giornata
primaverile strideva con l’assurda follia kafkiana della situazione all’interno
della villetta. La sottile membrana di stupore misto a terrore che si era
venuta a formare tra le sinapsi dell’uomo si ruppe definitivamente quando la
radio a valvole, ormai rotta irreparabilmente da anni, prese a funzionare all’improvviso.
Lo spavento fece sobbalzare l’uomo così forte che inciampò
nel tappeto che aveva sotto ai piedi e cadde rovinosamente a terra. Il cuore
andava a mille e il rombo del sangue nelle orecchie era così forte da oscurare
quasi ogni altro suono. In tutto quel caos improvviso la radio aveva preso a
cantilenare il numero ventuno, come potrebbe fare un bambino annoiato con una
parola nuova. Le ginocchia dell’uomo iniziarono a tremare vistosamente mentre,
come paralizzato al suolo, la voce misteriosa nella radio a valvole iniziava
pian piano a morire e ad annegare tra lo statico.
Non si rendeva più conto di nulla, se non del terrore e del
fatto che rischiava da un momento all’altro di pisciarsi addosso. Era nel
panico più totale, dimentico di tutto e tutti. Sentiva le unghie della follia
graffiare sulla lavagna logora che era la sua mente.
Senza pensare, scattò in piedi e in un moto convulso si
diresse verso la camera da letto da cui solo un’ora prima era uscito. Aveva
solo voluto raggiungere il bagno per prendere qualcosa contro il dolore alla
spalla, aveva solo voluto continuare la propria vita come aveva sempre fatto. E
invece Alice era inciampata nella tana del Bianconiglio e rischiava di annegare
nella pazzia della situazione in cui si trovava. Doveva trovare qualcosa per
uscirne, una fune a cui aggrapparsi. Riusciva quasi a visualizzare mentalmente
il cellulare sotto carica sul comodino.
Il tragitto, alla luce dei sensi in totale avaria dell’uomo,
sembrò durare anni. Era come un burattino di legno che la paura e il panico si
litigavano, muovendone i fili mentre lottavano insensatamente tra loro. A quel
cocktail emotivo si aggiunse la sorpresa quando, giunto a destinazione,
inciampò su qualcosa e cadde di nuovo a terra. Vide quasi letteralmente le
stelle ed ebbe la sensazione di avere qualcosa di rotto in bocca.
Si rialzò di corsa, per non turbare ulteriormente il luogo
in cui giaceva morto da ormai ventuno ore.
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