mercoledì 23 gennaio 2013

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“E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della "Morte Rossa" giunta come un ladro nella notte, e a uno a uno i gaudenti giacquero nelle sale irrorate di sangue delle loro gozzoviglie, e ciascuno morì nell'atteggiamento disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d'ebano si estinse con quella dell'ultimo dei baldorianti. E le fiamme dei tripodi si spensero. E l'Oscurità, la Decomposizione e la Morte Rossa regnarono indisturbate su tutto.

E.A POE

L’oscurità più totale era disturbata dai movimenti flemmatici di una sagoma ancora più nera. La mano tastava cautamente il vecchio tavolo di legno marcito. Le tenebre le impedivano di vedere con chiarezza dove fosse la valvola della lampada a gas e, quando l’ebbe finalmente trovata, il tremolante bagliore dell’attrezzo la accecò per qualche secondo. Era stata tanto, troppo tempo al buio.
La donna, acclimatatasi alla nuova condizione, si sedette su di uno sgabello consunto. L’umidità e il fetore della putrefazione avevano ormai impregnato i suoi vestiti, sembravano aver addirittura slavato i suoi stessi occhi un tempo color nocciola. La luce giallastra della lampada sembrò per un attimo farsi più intensa quando ne usò la fiamma per accendersi una sigaretta. Per confezionarla aveva dato fondo all’ultimo barattolo di tabacco, ma cazzo se era buona.

Il silenzio era quasi denso, interrotto solo di tanto in tanto da alcuni rumori metallici. La donna aveva smontato il revolver in tutti i suoi componenti e li stava minuziosamente pulendo, uno ad uno. Alla luce tremolante della lampada si trattava davvero di un compito difficile. I sedimenti di piombo potevano far inceppare l’arma al momento sbagliato, potevano addirittura deviare i proiettili. E questo non era un bene.
Ingobbita su quei freddi pezzi di metallo, la donna pensava. Ricordava. Gli alberi, i rumori delle città, il caos giornaliero. La routine, il lavoro come segretaria, il sapore del caffè mattutino. Ivory. Gli mancava, Ivory. Assieme avevano vissuto una vita piena di amore e di litigi, molte volte aveva addirittura pensato di piantarlo e di andarsene per sempre. Ma sempre lui aveva saputo riconquistarla, giorno dopo giorno. Con il suo estro creativo e con la sua semplicità. Probabilmente ora l’uomo riposava in pace tra il ferro e i detriti di cemento che un tempo erano stati la ridente e cosmopolita città di Boston.

 I secondi passavano e le lacrime erano sempre più sul punto di far breccia nella corazza emotiva che vestiva la donna. Non ci riuscirono.
La pistola era carica. Un solo proiettile. La donna spense la lampada a gas e si diresse verso la botola di legno. Aveva finito le scorte, ma ormai non le importava più. Il primo impatto con la luce del sole fu quasi devastante, visto che non usciva da quasi un mese.

L’Anckha, il grande occhio, scrutava il pianeta. Ogni singolo movimento veniva registrato, analizzato ed archiviato. Come un bambino sadico che si diverte a spiare l’affannarsi incessante in un formicaio. I Jarom, le popolazioni indigene, oramai si limitavano a fare delle brevi comparsate. Ogni volta la loro presenza veniva registrata, archiviata e un Vektara veniva inviato sul campo. Dopo di che rimanevano solo cenere e rovine.

La grande lente era focalizzata su di un castoro intento a mordicchiare il tronco di un albero, quando l’attenzione dell’Anckha si spostò molto più ad ovest. Un Jarom, una femmina, si stava avvicinando ad un Dosta. Questi non fece in tempo a voltarsi che il contenuto di una delle loro primitive armi venne scaricato sullo scudo a raggi della creatura. Lo strumento stretto nelle mani della femmina doveva essere ormai inutilizzabile, perché questa reagì con lacrime e con uno sputo dritto sulla corazza del Dosta. Questi, semplicemente, si voltò e incenerì quella bizzarra forma di vita basata sul carbonio. Il grande occhio registrò che l’arma conteneva di fatto sei colpi, ma che ne era stato sparato solo uno. La combattività potenziale era sproporzionata con l’offensiva appena intrapresa. Sei microsecondi dopo arrivò all’ipotesi che la femmina di Jarom si fosse suicidata. Il calcolatore andò in stallo per un istante. Perché non aveva semplicemente rivolto l’arma contro di se? Le emozioni dei Jarom erano davvero complicate da interpretare, quasi irrazionali. Il responso finale fu DEMENZA. L’informazione venne archiviata e la lente si focalizzò di nuovo sul castoro. Ora l’animale era passato ad un piccolo ramo.

2 commenti:

  1. dovresti stare su Tumblr, avresti più visibilità

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    1. Eh, lo so. Ma non so programmare in html5 per creare una interfaccia efficacie.

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