“E allora tutti compresero e riconobbero la presenza della "Morte
Rossa" giunta come un ladro nella notte, e a uno a uno i gaudenti
giacquero nelle sale irrorate di sangue delle loro gozzoviglie, e ciascuno morì
nell'atteggiamento disperato in cui era caduto. E la vita della pendola d'ebano
si estinse con quella dell'ultimo dei baldorianti. E le fiamme dei tripodi si
spensero. E l'Oscurità, la Decomposizione e la Morte Rossa regnarono
indisturbate su tutto.”
E.A POE
L’oscurità più totale era disturbata dai movimenti
flemmatici di una sagoma ancora più nera. La mano tastava cautamente il vecchio
tavolo di legno marcito. Le tenebre le impedivano di vedere con chiarezza dove
fosse la valvola della lampada a gas e, quando l’ebbe finalmente trovata, il
tremolante bagliore dell’attrezzo la accecò per qualche secondo. Era stata
tanto, troppo tempo al buio.
La donna, acclimatatasi alla nuova condizione, si sedette su
di uno sgabello consunto. L’umidità e il fetore della putrefazione avevano
ormai impregnato i suoi vestiti, sembravano aver addirittura slavato i suoi
stessi occhi un tempo color nocciola. La luce giallastra della lampada sembrò
per un attimo farsi più intensa quando ne usò la fiamma per accendersi una
sigaretta. Per confezionarla aveva dato fondo all’ultimo barattolo di tabacco,
ma cazzo se era buona.
Il silenzio era quasi denso, interrotto solo di tanto in
tanto da alcuni rumori metallici. La donna aveva smontato il revolver in tutti
i suoi componenti e li stava minuziosamente pulendo, uno ad uno. Alla luce
tremolante della lampada si trattava davvero di un compito difficile. I
sedimenti di piombo potevano far inceppare l’arma al momento sbagliato,
potevano addirittura deviare i proiettili. E questo non era un bene.
Ingobbita su quei freddi pezzi di metallo, la donna pensava.
Ricordava. Gli alberi, i rumori delle città, il caos giornaliero. La routine,
il lavoro come segretaria, il sapore del caffè mattutino. Ivory. Gli mancava,
Ivory. Assieme avevano vissuto una vita piena di amore e di litigi, molte volte
aveva addirittura pensato di piantarlo e di andarsene per sempre. Ma sempre lui
aveva saputo riconquistarla, giorno dopo giorno. Con il suo estro creativo e
con la sua semplicità. Probabilmente ora l’uomo riposava in pace tra il ferro e
i detriti di cemento che un tempo erano stati la ridente e cosmopolita città di
Boston.
I secondi passavano e le lacrime erano sempre più sul punto di far
breccia nella corazza emotiva che vestiva la donna. Non ci riuscirono.
La pistola era carica. Un solo proiettile. La donna spense
la lampada a gas e si diresse verso la botola di legno. Aveva finito le scorte,
ma ormai non le importava più. Il primo impatto con la luce del sole fu quasi
devastante, visto che non usciva da quasi un mese.
L’Anckha, il grande occhio, scrutava il pianeta. Ogni
singolo movimento veniva registrato, analizzato ed archiviato. Come un bambino
sadico che si diverte a spiare l’affannarsi incessante in un formicaio. I
Jarom, le popolazioni indigene, oramai si limitavano a fare delle brevi
comparsate. Ogni volta la loro presenza veniva registrata, archiviata e un
Vektara veniva inviato sul campo. Dopo di che rimanevano solo cenere e rovine.
La grande lente era focalizzata su di un castoro intento a
mordicchiare il tronco di un albero, quando l’attenzione dell’Anckha si spostò
molto più ad ovest. Un Jarom, una femmina, si stava avvicinando ad un Dosta. Questi
non fece in tempo a voltarsi che il contenuto di una delle loro primitive armi
venne scaricato sullo scudo a raggi della creatura. Lo strumento stretto nelle
mani della femmina doveva essere ormai inutilizzabile, perché questa reagì con
lacrime e con uno sputo dritto sulla corazza del Dosta. Questi, semplicemente,
si voltò e incenerì quella bizzarra forma di vita basata sul carbonio. Il
grande occhio registrò che l’arma conteneva di fatto sei colpi, ma che ne era
stato sparato solo uno. La combattività potenziale era sproporzionata con l’offensiva
appena intrapresa. Sei microsecondi dopo arrivò all’ipotesi che la femmina di
Jarom si fosse suicidata. Il calcolatore andò in stallo per un istante. Perché non
aveva semplicemente rivolto l’arma contro di se? Le emozioni dei Jarom erano
davvero complicate da interpretare, quasi irrazionali. Il responso finale fu
DEMENZA. L’informazione venne archiviata e la lente si focalizzò di nuovo sul
castoro. Ora l’animale era passato ad un piccolo ramo.
dovresti stare su Tumblr, avresti più visibilità
RispondiEliminaEh, lo so. Ma non so programmare in html5 per creare una interfaccia efficacie.
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