lunedì 27 agosto 2012

SWAMPED (2\2) - Oceano





I mobili erano carichi di polvere. La farinosa patina grigia ricopriva qualsiasi cosa. Bottiglie di alcolici ormai vuote. Libri ormai abbandonati alle tarme. Il frigorifero ormai casa di bigattini e mosche. Una pistola carica. Era come un velo di tristezza ed abbandono che si adagiava su qualsiasi cosa. Il pulviscolo danzava lentamente nella tarda luce di montagna che filtrava dalle tapparelle abbassate. Il silenzio aleggiava tra le stanze come fosse uno spettro. L’intera villa era come sospesa nel tempo, immersa in una dolce decadenza liquida.

 Kadir Patel era affondato nella poltrona più vecchia del salottino buono, al secondo piano. Aveva trascorso i due giorni precedenti sdraiato ad osservare un disegno sul soffitto che aveva fatto in un momento di ubriachezza. Poi un tubo si era rotto al piano superiore, rovinando il disegno e risvegliandolo bruscamente.
Disorientato ed in preda al panico, aveva urlato come mai aveva urlato nella propria breve vita.
Aveva ingurgitato un intero flacone di calmanti, le gambe non lo avevano retto più e si era semplicemente afflosciato sul tessuto rosso. Di fronte aveva una intera vetrina carica con i ninnoli e i memorabilia della sua vita di coppia con Priya. La sua momentanea paralisi farmaceutica lo aveva incatenato di fronte a ciò che lo faceva soffrire di più. Lo scrittore aveva cercato di affogare i propri ricordi con alcool e medicine, e ora quelli stavano avendo la loro vendetta. L’uomo cercò di muovere il braccio destro, ma questo semplicemente si sollevò di un paio di centimetri per poi ricadere sul bracciolo consunto della poltrona. I farmaci avevano fatto effetto, anche troppo, ma il grosso stava per arrivare. Le palpebre iniziarono a diventare pesanti. Kadir lottava internamente come un uomo in mezzo all’oceano che lotta per rimanere a galla. Forse, pensando a qualcos’altro, sarebbe riuscito a rimanere cosciente. La sua mente cercava qualcosa, qualsiasi cosa.  LA PISTOLA. Il revolver carico si materializzò come un araldo dello svenimento, mostrando il suo luccichio metallico allo scrittore. La canna sembrava un buco nero, quasi un invitante amico pronto a sussurrargli parole confortanti all’orecchio. Questi non fece in tempo a razionalizzare quell’immagine, che i suoi occhi si chiusero. L’uomo aveva finalmente ceduto alla stanchezza degli arti ed era finito sott’acqua, verso le profondità inchiostro dell’oceano. E, come la saggezza popolare insegna, è proprio nei posti bui che si annidano i mostri.

Come è andata a lavoro? Bene, guarda, non puoi immaginare cosa è successo. Avete scoperto che l’ufficio era costruito sopra un antico cimitero indiano? Cretino. No, la moglie di Jack è venuta a fare casino, accusandolo di essersi scopato una spogliarellista la sera prima. Ma Jack non è quello con tre figli? Si. HAHAHAH, oddio, l’amico è in guai grossi! Ci puoi scommettere, comunque che c’è per cena? Ordiniamo indiano? Naa, mi stomaca sempre, facciamo italiano. AHAH, hai detto la stessa battuta di quella serie televisiva, quella con i picchiatelli fumettari. Vedo che quando non ci sono fai altro oltre che scrivere il tuo romanzo. Non mi sei mai sembrato un tipo da sit-com. C’è sempre una prima volta, sai come qu

Kadir riaprì gli occhi. Aveva la bocca secca e la sua fronte era imperlata di sudore freddo. Voci dal passato, fantasmi di emozioni e ricordi ormai in decomposizione. Il suo stato mentale precario gli aveva permesso di gettare uno sguardo nel Vaso di Pandora, e quello che aveva visto aveva permesso ai propri demoni di ritornare nel suo mondo. Non poteva continuare così. Doveva porre fine a tutto questo.
Ignorando la nausea, raccolse tutte le forze che gli rimanevano e si alzò di scatto. Le medicine sembravano aver esaurito parte de Kamadeva giaceva nella polvere. La vampa aveva investito lui e la sua cavalcatura mentre si trovavano in volo. Il Pappagallo, in fiamme, era precipitato fino ad impattare con il fianco di una montagna. Era successo tutto così velocemente. Il cielo illuminato da un lampo. Il silenzio. E poi il Cataclisma aveva incendiato le foreste. Aveva fatto ribollire gli oceani. Avev

Le sue gambe non ce l’avevano fatta a reggerlo. Dopo un paio di passi avevano ceduto, lasciandolo a terra come un pupazzo a cui avessero tagliato i fili. Forse era addirittura svenuto per qualche secondo. Visioni arcane e cadaveri verdi. Le gambe erano come due pesi morti che lo intralciavano mentre strisciava giù per le scale, lungo il grande corridoio e verso la libreria. Il revolver era illuminato da un raggio di luce che filtrava attraverso un buco nelle tende pesanti che tenevano i libri polverosi prigionieri della penombra. Kadir sapeva che era carico. Quando si issò su di una sedia per poter raggiungere il tavolino, non si meravigliò di sentire l’arma pesante. Il suo ventre di metallo era gravido di pace per lo scrittore. Solo un click e poi solo l’oblio. Gli occhi si chiusero. Rimasero solo i suoi pensieri che si cannibalizzavano a vicenda e il freddo della canna sulla tempia.


Odore di mela verde.

Nessun commento:

Posta un commento